L’ESORDIO LETTERARIO DI FABIO GAGLIARDI

PsicoDelirio
Memorie di un Maniaco
#Viaggio nei Reami paralleli della Psiche
di Fabio Gagliardi
SINOSSI
Oggi si parla tanto di disagio psichico e malattie mentali, ma sono pochi i libri scritti da chi vive queste realtà, mentre più frequenti sono i resoconti di casi clinici, inseriti in opere saggistiche degli addetti ai lavori. PSICODELIRIO è un diario a tinte forti che apre squarci potenti e inauditi sulla condizione maniacale vissuta in prima persona, un viaggio immersivo in conturbanti realtà psichiche. Il flusso di coscienza dell’autore percorre episodi di vita quotidiana, conducendo il lettore attraverso i suoi impulsi autodistruttivi e il suo desiderio di redenzione, con spietata capacità analitica. L’impressione è di essere dentro un film oscuro che a tratti assume i contorni dell’incubo e poi vira verso il noir, con tanto di vittima sacrificale, volta a sedare il senso di derealizzazione e la sete di vendetta che dominano a tratti la psiche dello scrittore. Il genere femminile è insieme oggetto di sogno e castigo per il protagonista, che inanella relazioni ove il suo delirio assume le sembianze di sadica ritorsione verso la partner di turno. Al contempo, il testo contiene pungenti e sottili analisi sociologiche a tutto campo, che sfidano il lettore al confronto.
Prefazione al testo di Armando Zoff Jivan Sahi
di Armando Zoff Jivan Sahi
Nel gennaio 2023, in una fredda soleggiata mattina, mi predisposi in raccoglimento, spensi il cellulare e mandai una richiesta alle energie del cosmo: mi rivolsi a Saraswati, la Dea della Conoscenza Superiore, alle entità angeliche che vegliano su di me, all’Intelligenza Cosmica che molti chiamano Dio con uno specifico intento così formulato: “Caro Universo, è passato troppo tempo dall’ultima volta che ho ricevuto il manoscritto di uno scrittore che vorrebbe pubblicare con me: è giunta l’ora di un cambio di rotta. Fammi contattare da scrittori che siano in linea con lo spirito di “Alto Voltaggio Edizioni”. Dopo circa dieci giorni ricevetti la mail di Fabio, che mi commosse e che ripropongo integralmente, prima di rendervi edotti del viaggio che avrebbe innescato nella mia coscienza. Lui arrivò a me facendo una ricerca sul web in merito a case editrici specializzate in mémoire.
“Buongiorno, mi chiamo Fabio Gagliardi.
Sono di Ostia Lido, quartiere suburbano romano ormai più noto alle cronache nere che balneari, dove mi divido fra l’attività di disoccupato e quella di paziente psichiatrico.
Scusate, sarò cortesemente schietto: spero mi concediate un minuto del vostro prezioso tempo per presentarmi, non avendo io alle spalle agenti letterari, premi e pubblicazioni precedenti, né corsi di scrittura creativa. Per di più, le mie condizioni di ristrettezze economiche m’impongono d’illustrarvi il mio progetto prima d’impegnarmi a inviarvelo, solo in caso di vostro feedback d’interesse iniziale. Nel frattempo, posso anticiparvi che la vostra, di presentazione, mi ha colpito molto dandomi l’idea istintiva che forse potremmo fare gli uni al caso dell’altro. Sbaglierò?
Mi permetto dunque di contattarvi perché desidererei sottoporvi prossimamente in valutazione la mia opera d’esordio, il mémoire introspettivo sperimentale: “PSYGOTHIC – Una vita da maniaco”.
Non ho la presunzione di porgerla come un’esplicita autobiografia, non sono nessuno per aspirare a tanto. Ma al netto di alcune licenze di fantasia romanzate si rifà quasi fedelmente alla mia esperienza diretta con i sintomi e gli effetti (sui comportamenti, sui ragionamenti, sulle opinioni, sulle interazioni) del disturbo schizoaffettivo che mi riguarda. Ne discutono gli addetti ai lavori perché risulta una patologia in espansione, però non so se molti miei compagni di analoga sventura siano stati in grado di apportarne testimonianza scritta, da dentro. Nel mio caso non si tratta di una pedante sequela di nozioni clinico-diagnostiche – che nemmeno saprei padroneggiare – e la stessa malattia non è di fatto mai menzionata, ma trovo che la continua alternanza di umori parli già da sé.
Il mio proposito più nobile nel redigere questo “deliromanzo di de-formazione” è portare alla luce diversi aspetti della sindrome, specie nella sua cosiddetta “fase maniacale” (in quella depressiva si cessa semplicemente d’esistere, la trovo meno interessante), dimostrando al contempo che anche Noi abbiamo qualcosa da dire – non di necessaria “tenerezza” – e sappiamo farlo riabilitandoci tramite la funzione terapeutica dello scrivere; mentre il mio intento comunicativo più provocatorio è una distruzione della retorica ipocrita e perbenista, relativista, secondo la quale tutti siamo pazzi e tutti normali, la follia non esiste oppure è libertà ribelle, è creativa, è bella, i matti sono buoni. No, non c’è nulla di bello o di buono, perché non c’è scelta consapevole. La follia esiste, eccome, ed è schiavitù. Non c’è un senso morale. Si soffre, si fa soffrire. Si è egocentrici, egoisti. Amorali. Talvolta anche delinquenziali. Oppure come in questo caso, nel delirio si finisce per incarnare addirittura appieno quel famigerato spirito “cripto-fascistoide italico” di cui si sente spesso disquisire, tipico di un certo carattere medio maschile nazionale latente (vagamente sessista, retrogrado, menefreghista, discriminatorio), che mi è appartenuto e ho tentato di sviscerare. Molto di illustrativo, nulla di educativo. Eticamente scorrettissimo.
Alcuni editori cui l’ho proposto mi hanno risposto di considerarlo un testo interessante ma troppo “pericoloso”. Anche quelli che si dicono attenti ai temi della salute mentale e della scrittura come recovery, sono sempre pronti a inumidirsi soltanto davanti a piagnucolanti resoconti di contenzione manicomiale. Vai a loro genio se parli di camicie di forza, legacci vari, indigestioni di farmaci e crogiolamenti nelle proprie urine. Se narri invece con distacco, sarcasmo, autocritica e condanna quel che davvero un “folle”(?) Fa e Pensa a scapito di sé stesso, del prossimo e della società, sono i primi a ignorare e stigmatizzare.
Dedico tutto questo soprattutto a loro e a tutte quelle tipologie di benpensanti che trovano meraviglioso impazzire, sì, ma sempre col cervello degli Altri, confidando in un vostro miglior riscontro.
P.S.: Per me sarebbe importante essere letto proprio da donne, lo considererei un autentico atto di redenzione personale. Ringrazio per l’attenzione, distinti saluti”.
Una prima domanda si affacciò alla mia coscienza, turbandola: “perché altri editori hanno rifiutato il testo, bollandolo come “pericoloso”? Ciò mi fece tornare alla mente un dettaglio riguardante la mia ex insegnante psico-spirituale Videha, di cui fui allievo per sette intensissimi e laceranti anni; lei mi disse un giorno, guardandomi con espressione enigmatica e niente affatto rassicurante: “Io sono pericolosa!”.
Eh sì, tutto ciò che entra prepotentemente nella nostra coscienza spazzando via illusioni e condizionamenti di cui mai avevamo preso visione, è pericoloso, pericoloso nel senso di dinamitardo, in quanto fa emergere le nostre strutture sabotanti, permettendoci di accedere ad una sconosciuta nudità riguardo noi stessi. Nonostante il montare di una sottile inquietudine, che collegai ai possibili risvolti di un incrocio di destini, nel far convergere la mia esistenza con quella di un illustre sconosciuto che si definiva “maniaco” e con la sua creatura – di cui avrei potuto essere tramite-, gli risposi affermativamente, chiedendogli di mandarmi il manoscritto in formato cartaceo, perché io leggo soltanto in quel modo.
Dopo aver letto le prime entusiasmanti pagine, decisi di chiamarlo. Volevo sondare. Chi era Fabio? Con che tono di voce parlava, com’era il suo sguardo? E ora stava bene oppure quei dolorosi e atroci resoconti erano ancora triste attualità del suo mondo interiore? La furia incendiaria di cui trasuda ogni pagina, accompagnata dal desiderio di vendetta, erano ancora presenti nella sua psiche? Con chi mi accingevo a relazionarmi io, al di là della creatura cartacea? Dovevo capire, entrare nel terreno del “fare anima”, come soleva ripetere il grande James Hillman. Non era l’editore che voleva parlargli, era la mia anima.
Fabio riuscì a rassicurarmi: nel suo fare posato non vi era nulla che potesse collegarsi all’energia distruttiva e violenta che permea tante pagine del testo, e questo mi permise di fiondarmi con ancor più impeto nel manoscritto. Più che una lettura, ciò che mi accadde fu un vero atto di sprofondamento e resa. Calamitato da una forza invisibile, mi addentrai per ore e ore ogni giorno nei recessi più insondabili e inquietanti della psiche di Fabio, che, con ammirevole capacità analitica, disseziona ogni possibile forma pensiero partorita dalla sua mente instabile alla ricerca di riscatto.
E mi parve di essere lì, lì ad ascoltare i brani Dark e New Wave nella discoteca in cui ogni sabato si recava coi suoi pochi amici, lì mentre tiranneggiava le partner di turno con folli e crudeli pretese, lì a riflettere sui suoi psico-deliri incontrollabili, che solo un disagio psichico acuto può generare. Ed ero lì, ansioso e timoroso di scoprire quale risvolto avrebbero preso i fatti, quando le trame del suo destino viravano verso incubi a tinte sempre più fosche.
La sensazione era quella di essere dentro un film, infatti ritengo che quest’opera sia molto adatta ad una trasposizione cinematografica, nella fattispecie una serie a puntate più che un lungometraggio, perché mi parrebbe impresa titanica poter riassumere in due ore una tale mole di vicende, regolamenti di conti e flussi di coscienza deviata. Mentre leggevo, notavo una singolare consonanza col mio modo di scrivere, non tanto per la forma, essendo la mia prosa assai diversa, quanto per il modo diretto e senza fronzoli di descrivere fatti e moti interiori. Quel restare sull’essenziale, senza quindi entrare, se non lateralmente, in ciò che spesso costituisce la tessitura e la cifra principale di gran parte della letteratura romanzata: descrizioni dettagliate di abiti, ambienti, stagioni, volti ed emozioni.
Soprattutto pensai al mio testo più ardito, “Il Voglioso di Dio”, mémoire meta-erotico, esoterico e incendiario, ove la verità su me stesso si dà al mondo in completa libertà e assoluzione. Credo che anche Fabio si sia felicemente assolto, perché non c’è colpa alcuna nella malattia psichica. Credo che da questa società attuale, sempre più disumana, violenta e disumanizzante nessuno possa avere scampo, nessuno possa ritenersi immune dai suoi influssi mefitici: di fatto siamo tutti diversamente psichiatrici. Anche se il livello di disagio si manifesta in range di vastissima ampiezza, che determinano vite e conseguenze della più varia entità e gravità, a seconda di dove è posizionato il cursore della coscienza del singolo, l’inarrestabile e crescente trend anti-umano e lontano dalla vibrazione della terra, che ci inquina quotidianamente, infestando la nostra psiche, ha reso tutti più fragili, vulnerabili, psicolabili.
Mi ha sempre fatto orrore il manuale diagnostico dei disturbi mentali, bibbia di questa società di orrori e sopraffazioni che si fonda sulla ricerca patologica del sintomo, di quel che c’è che non va, perché io ho sempre cercato di cogliere una diversa struggente bellezza in ogni manifestazione della sofferenza umana.
Ora una piccola anticipazione di una mia opera inedita già ultimata, di cui ancora non ho deciso la data di pubblicazione e che mi sembra significativo riportare qui.
“[…] Nella vita ho ricevuto migliaia di dolorose e sorprendenti confessioni, e già adolescente ebbi chiara percezione di come funziona l’osceno teatrino del mondo al di là delle apparenze. Siamo tutti tutto, seppur con diversi gradi di appartenenza, ma è difficile sostenere che dentro di noi c’è anche il cosiddetto male, quindi il pedofilo, l’assassino, eccetera. Non a caso gli induisti, saggiamente, dicono che tutto è Dio, anche l’opera al nero. Non si tratta di voler attribuire un’accezione positiva al male, ma di comprendere che tutto fa parte dell’immenso gioco cosmico della creazione, e che nulla potrebbe esistere senza il suo opposto, opposto che in realtà sarebbe più giusto chiamare complementare. È una prospettiva, questa, che scardina alle fondamenta la visione occidentale, così piccola e impaurita dalla vastità del “possibile”, così fortemente inibitoria e solo mentale. Leggendo il bellissimo mémoire di Georges Simenon “Memorie intime”, ad un certo punto lui afferma: “Avevo fame, sì, fame di tutto, dei barbagli di sole sulle case, degli alberi e dei volti, fame di tutte le donne che incrociavo e i cui sederi ondeggianti bastavano a provocarmi delle erezioni quasi dolorose…”. Il celebre scrittore confessò di aver trombato con almeno diecimila donne (stima arrotondata per difetto, ammise), di cui la maggior parte era costituita da prostitute. Abbiamo bisogno di abbellire la realtà delle cose, perché la nuda verità che è spesso all’origine di ciò che andiamo cercando o di ciò che si è creato come conseguenza del nostro aver cercato, ci risuona brutale, dannatamente sensoriale e come priva di sentimento, dominata com’è dagli incendiari impulsi di Eros, i quali si canalizzano in preferenze dai più vari registri e feticismi, che sono la principale porta di ingresso all’incontro con l’altro. Purtroppo non siamo liberi di vedere le cose per come davvero sono, perché ci sentiamo peccatori, perché il paradigma giudaico-cristiano da cui si è forgiata l’etica reazionaria del mondo occidentale, ha falcidiato Eros e anche il corpo come tempio dell’anima, riducendolo a prigione della stessa. Pochi sarebbero disposti ad ammettere che la propria moglie è diventata tale perché inizialmente era solo il suo seno voluminoso che ci richiamava a sé, ma io, che nella vita ho ricevuto migliaia di spregiudicate rivelazioni, ho una mia precisa visione in merito a come funzionano le cose al di là dell’apparenza. Non muove foglia senza che Eros non voglia, ma i feroci guardiani del mondo lo hanno detronizzato e noi, pur provando ciò che ogni individuo sensorialmente prova sin dalla notte dei tempi, abbiamo abdicato a noi stessi e ripudiato il corpo e le meraviglie annesse alla sua libera espressione, creando una società di orrori, ove viene condannato e mutilato ciò che in realtà è all’origine di tutto e della vita stessa, con danni incalcolabili alla nostra sanità psichica.
[…] Noi non nasciamo peccatori, nasciamo liberi, è questa società degli orrori con la sua educastrazione che ci fa diventare psicotici e ci tarpa le ali. Inoltre, questo sentirci peccatori ha un figlio tentacolare di diretta discendenza: la ricerca patologica del sintomo dietro ogni manifestazione […]”.
Credo fermamente che ogni lettore possa riconoscersi in certi pensieri contorti e deliranti di cui Fabio ci rende partecipi con coraggio, perché la nostra psiche è collegata all’inconscio collettivo, quindi dentro di noi passa ogni cosa. Semplicemente, se il cursore della coscienza dimora nell’equilibrio, l’individuo saprà trascendere ogni impulso distruttivo posizionandosi a teatro di sé stesso, il che significa che da dietro le quinte della propria mente avrà sviluppato la capacità di vedersi dal di fuori con assoluto distacco, riuscendo a decidere da quali emozioni e pensieri lasciarsi agire e a quali invece non dare corda. Chi è affetto da un disagio psichico, invece, è semplicemente agito da forze che sono più grandi della sua volontà cosciente.
Incontrando questo libro ho anche incontrato sconosciute e conturbanti realtà psichiche, tasselli di un mosaico che riguarda la vastità del possibile. Mi auguro possa accadere anche a te.
Buon viaggio.
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Fabio Gagliardi

Biografia redatta dall’autore stesso
Romano della non miglior periferia, classe ’76, dopo una rapida (dis)avventura universitaria e sporadiche mansioni d’agenzia, si interessa presto al mondo della psichiatria. Ma, non avendo assai voglia di studiare, tanto per restare comunque nell’ambiente si siede dall’altra parte della scrivania medica. Siccome nessuno di noi è “soltanto” la propria patologia, essa non gli impedisce però di coltivare le proprie passioni: il relax reciproco che ci si scambia con la riflessologia plantare; il calcio a rischio rissa; il fascino del nonbellomafigo Al Pacino; qualunque canzone suonino i Cure; l’orgoglio del mancinismo; il fascino eurodecadente di Montevideo; le donne quasi tutte e i cani tutti tutti. Si definisce non timido ma riservato eppur egocentrico, caustico ma neoromantico, lunatico, indolente, disincantato e (da accanito fumatore) la risposta italiana all’eterna domanda: “Scusi, ha mica da accendere?”.
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